Stiamo tutti vivendo un tempo nuovo e difficile: tempo di cambio di abitudini, tempo di imparare a vivere nell’emergenza, affrontare la quarantena, accettare di stare lontano dagli amici, a volte da un amore, o dai famigliari.
Nel frattempo, c’è la paura del contagio e le notizie che si susseguono durante la giornata, rapide e numerose. Per non parlare delle restrizioni sempre più pesanti e dell’incertezza: è una presa di coscienza di quanto siamo fragili noi e la vita che abbiamo sempre vissuto.
Le sensazioni che prevalgono in questo momento sono molteplici e a volte mai sperimentate, come quella di impotenza, immancabile davanti a qualcosa che non conosciamo o a un futuro incerto.
Per alcuni subentra il panico, quello del sentirsi intrappolati dalle mura domestiche, dall’interruzione delle consuete attività, o da una situazione faticosa in casa dalla quale prima si poteva scappare, per non parlare di chi, già in passato, aveva avuto a che fare con esperienze negative analoghe e ora sta sperimentando nuovamente quella sensazione terribile e improvvisa.
Ci sono i pensieri ossessivi che per loro natura sono fuori dal nostro controllo e prendono il sopravvento non lasciando spazio ad altro: il contagio, la morte, il futuro, il lavoro, i problemi economici. Improvvisamente l’orizzonte è coperto solo da quello e magari non riusciamo più a concentrarci su ciò che stiamo facendo, né su un libro, un hobby, o qualsiasi cosa che potrebbe farci stare meglio.
Questa pandemia di fatto può rendere quello che stiamo vivendo un evento traumatico a tutti gli effetti. A ciò si aggiunge che si tratta di una situazione che si protrae nel tempo, un tempo ancora non definito.
Ciò che prevale, e forse ora lega tutti quanti, è la paura, ma è normale.
Non dobbiamo avere paura della paura: chi la prova non è debole, anzi. Questa è l’emozione che ci tiene al sicuro, ci mette in guardia e ci spinge ad applicare tutte le misure necessarie per evitare i pericoli. Dobbiamo guardarci però da quando la paura si estremizza perché allora non è più sana, ma può sfociare nel terrore e impedirci di vedere le cose in modo oggettivo. Lei e la conseguente ansia ci possono portare alla catastrofizzazione, allora vediamo una situazione peggiore di quella che è: questo fa sì che noi, ad esempio, abbiamo la tendenza a selezionare solo le informazioni negative che non fanno che confermare la nostra ansia.
Intanto rendersi conto di quanto ci sta accadendo: l’emotività ha preso il sopravvento e non è più controllabile. Dunque, soprattutto in un momento come questo, occorre fermarsi, informarsi, sì, ma solo sui siti ufficiali, spostare l’attenzione sui numeri che vengono pubblicati (i decessi sono un numero spaventoso da pensare per chiunque, ma ci sono anche altri numeri, come i positivi asintomatici o quelli che, seppur presentando sintomi, guariscono). Dobbiamo insomma imparare a conoscere il “nemico” con cui abbiamo a che fare perché la conoscenza ci dà l’impressione di avere maggior controllo.
E poi è importante non subire la situazione passivamente, ma attivarsi per far scaturire dalla paura il coraggio. È questo forse il coraggio più difficile perché è quello di tutti i giorni, quello di assolvere le nostre responsabilità quotidiane di genitori, di compagni di vita o di lavoratori, laddove sia possibile ancora.
Ognuno di noi possiede risorse, strategie di resistenza e di difesa, per affrontare gli eventi traumatici. Sono risorse interne che dipendono dalla nostra storia di vita, ma anche esterne che provengono dal contesto in cui siamo inseriti.
Il nostro cervello è “programmato” per salvarci, possiede infatti un sistema di auto cura, anche se non sempre è sufficiente. Quando non ce la si fa da soli, è importante rendersene conto e chiedere aiuto, chiedere aiuto ora per non essere appesantiti per molto, o per sempre, da traumi non risolti.
Dott.ssa Elena Paiuzzi - Psicologa e psicoterapeuta a Alessandria
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Ultima modifica: 10/06/2016
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